Googlare[1] qualcuno è una delle operazioni più frequenti degli utenti del web. Difficile immaginare che questa apparentemente innocua attività, ossia l’inserimento del nome di qualcuno nella stringa di un motore di ricerca, potesse essere causa di così tante problematiche giuridiche, come invece è accaduto.

La principale questione emersa concerne la possibile compromissione del diritto alla riservatezza del soggetto «googlato», il cui nome venga associato, a seguito della ricerca, a fatti ed avvenimenti passati che, con il trascorrere del tempo, hanno perso i connotati di attualità. Notizie che, benché lecitamente pubblicate (o ripubblicate in un momento successivo), non costituiscono più oggetto di cronaca e dovrebbero, pertanto, rientrare nella sfera privata del soggetto (il c.d. diritto all’oblio).

A questa aspettativa fa da contraltare, però, la necessità di non compromettere uno dei diritti fondanti di ogni società civile, ovverosia il diritto di (ed alla) informazione della collettività.

La capillare e incontrollabile diffusione delle informazioni nel mondo digitalizzato accentua i termini della questione, rendendo difficoltoso un equo bilanciamento degli interessi in gioco. Lo stesso diritto all’oblio, in rete, assume connotati differenti. Sul web ogni notizia è perennemente disponibile, pronta a essere “catturata” da una ricerca in un Search Engine. Il concetto di “peso dell’informazione”, quindi, assume significati differenti rispetto ai media tradizionali. Il web non è altro che un “gigantesco deposito e non un archivio ordinato” [2] e in tale contesto i motori di ricerca giocano un ruolo determinante essendo gli operatori che, di fatto, permettono l’accesso all’informazione.

Nell’ormai acquisita consapevolezza che quasi tutta l’informazione presente sul web “passa” attraverso i motori di ricerca, si va affermando una diversa estrinsecazione del diritto all’oblio, inteso, in una nuova accezione, come possibilità di rimozione del link al contenuto lesivo all’interno della pagina dei risultati di ricerca. Il percorso di riconoscimento si è concluso con una rivoluzionaria sentenza della Corte di Giustizia europea [3].

In breve la vicenda da cui è scaturita la decisione dei giudici di Lussemburgo: un cittadino spagnolo presentava dinanzi all’ Autorità Garante dei dati un reclamo contro Google Spain, Google Inc e il quotidiano “La Vanguardia”. L’istante lamentava come mediante una ricerca, su Google search, associata al suo nome apparissero anche i link a un’inserzione immobiliare relativa a un fabbricato precedentemente di sua proprietà, e successivamente pignorato dall’Autorità Giudiziaria. Nell’annuncio risultava l’informazione, a parer suo non pertinente, della procedura di pignoramento a suo carico, con l’effetto di un’irragionevole lesione della privacy. Il cittadino chiedeva al giornale la rimozione dell’annuncio online e a Google l’eliminazione del link dalla c.d. S.E.R.P. (Search Engine Results Page).

La Corte di Giustizia Europea ha accolto solo in parte le richieste del cittadino spagnolo: mentre ha infatti rigettato la richiesta di cancellazione della notizia dal sito del quotidiano, ha ordinato a Google di deindicizzare il contenuto, ritenuto non rilevante, con l’effetto di non consentire l’accesso all’informazione mediante una ricerca associata al suo nome.

La Corte ha fatto presente che è da considerare preminente, in via generale, la tutela di diritti fondamentali come il diritto alla vita privata e alla protezione dei dati personali [4] e che una loro compromissione non può essere giustificata dall’interesse economico del gestore di un motore di ricerca. In ogni caso, secondo la Corte, la deindicizzazione andrebbe verificata caso per caso affinché essa non abbia ripercussioni sul legittimo interesse degli utenti della rete ad avere accesso a tutte le informazioni ivi presenti, nella prospettiva della salvaguardia del generale diritto all’informazione [5].

La citata sentenza, nota con il nome di Google Spain, statuisce anche su alcuni aspetti riguardanti il ruolo dei motori di ricerca, che vale la pena accennare:

  • Efficacia territoriale della normativa sulla tutela dei dati personali.

Ci si chiedeva se la direttiva europea sulla privacy potesse applicarsi anche a soggetti, come ad esempio i motori di ricerca, stabiliti in un paese extraeuropeo. La Corte afferma (o meglio, ribadisce) che è applicabile la disciplina europea a quei motori di ricerca che, nonostante esercitino la parte principale della loro attività (indicizzazione dei contenuti del web) al di fuori dello spazio europeo, svolgono altre attività, come ad esempio la promozione e vendita di spazi pubblicitari, all’interno dei confini europei. Google, avendo almeno una filiale “commerciale” in ogni paese europeo, deve osservare la normativa europea sulla privacy.

  • Ruolo dei motori di ricerca nella tutela dei dati personali degli utenti

La sentenza stabilisce che Google effettua un vero e proprio “trattamento” di dati personali e riveste, altresì, il ruolo di “responsabile” del trattamento. Quindi, come tale, deve sottostare alle norme europee sulla protezione dei dati che riguardano il responsabile del trattamento. Viene rigettato l’opposto orientamento che qualificava i motori di ricerca come semplici soggetti “neutrali” (meri intermediari telematici) che non effettuano trattamento di dati [6].

  • Obbligo di rimozione dei link

Come già accennato, i giudici statuiscono l’obbligo del gestore del motore di ricerca di rimuovere, a determinate condizioni, dall’elenco dei risultati di una ricerca sul nome di un soggetto, quei collegamenti verso pagine web che contengono informazioni lesive della privacy relative al soggetto stesso [7]. La richiesta può essere inoltrata non solo quando tali dati siano inesatti, ma anche quando essi appaiano inadeguati, non pertinenti, eccessivi in rapporto alle finalità del trattamento, non aggiornati o conservati per un periodo di tempo eccessivo [8]. L’interessato deve rivolgersi direttamente al Search Engine per la deindicizzazione del contenuto.

Quest’ultima statuizione ha attirato numerose critiche, molte delle quali, però, alimentate da un equivoco di fondo che si basa sulla confusione (o meglio equiparazione) tra diritto all’oblio e diritto alla deindicizzazione dei risultati della ricerca. Il concetto espresso della Corte, infatti, va inteso come “diritto alla dissociazione del proprio nome da un dato risultato di ricerca” [9] e non come diritto all’oblio generalmente inteso. Nasce, in sostanza, una nuova posizione giuridica che non è altro che il semplice effetto che deriva dalla deindicizzazione sul search engine: ossia il c.d. right not to be found easily, che è qualcosa di diverso rispetto all’oblio inteso come diritto alla cancellazione (o non pubblicazione) di notizie relative a fatti rispetto all’accadimento dei quali è trascorso un considerevole lasso temporale. Ribadendo il concetto: non un diritto alla cancellazione dell’informazione ma solo la dissociazione di una specifica pagina, identificata dal proprio Uniform Resource Locator (URL), da una peculiare query di ricerca (ovvero il nome dell’interessato) [10].

Tuttavia non si può non rilevare come l’informazione deindicizzata, pur essendo ancora memorizzata nel web risulti, di fatto, irraggiungibile rendendo unicamente formale la tutela del diritto all’informazione. Se è vero che quell’informazione continuerà ad esistere nella sua collocazione originaria, dunque rimanendo in ogni caso accessibile mediante una visita diretta alla pagina web, è evidente che il diritto alla cancellazione si traduce in una sorta di diritto alla non reperibilità de facto del dato [11].

Al fine di ottemperare alla sentenza della Corte di Giustizia Europea, Google ha predisposto un modulo online [12] per gli utenti che vogliano richiedere la rimozione di un link indesiderato dai risultati della ricerca associati al loro nome [13]. Si tratta di uno degli esempi di self-regulation in capo agli Internet Service Provider che si stanno affermando in tempi recenti e che hanno lo scopo di ridurre i costi aziendali e addivenire a rapide risoluzioni di controversie.

La soluzione ha comportato diverse critiche poiché, in tal modo, un soggetto privato diviene titolare di una funzione para-giurisdizionale. Il tutto aggravato, tra l’altro, dalla mancata predisposizione di regole chiare e precise. Nel procedimento previsto da Google, infatti, non viene comunicata alcuna tempistica, non sono indicati i criteri di valutazione del bilanciamento tra diritto ad accedere all’informazione e diritto alla deindicizzazione. Non esiste, altresì, alcuna identificabilità del soggetto giudicante.

Ma l’aspetto più discutibile riguarda la totale impossibilità dei soggetti contro-interessati (gli autori del contenuto o i soggetti che hanno, a qualsiasi titolo, interesse alla reperibilità dell’informazione) di poter partecipare a questa sorta di procedimento. Google, infatti, effettua una mera comunicazione di rimozione del link all’editore del contenuto, il quale non ha nessuna possibilità di intervento, fatta salva la possibilità di opporsi, in una fase successiva, dinanzi al Garante o all’Autorità Giudiziaria [14].

Ne consegue che, dal punto di vista strettamente giuridico, la soluzione proposta dalla Corte di Giustizia e attuata da Google, non sia soddisfacente. Un’alternativa potrebbe essere quella di far intervenire il motore di ricerca solo nella fase “cautelare”, mediante una sospensione temporanea dell’indicizzazione del link contestato e dare all’utente un termine per adire le autorità competenti (Garante della privacy o Autorità Giudiziaria) [15]. In tal modo si indirizzerebbe la controversia all’interno di un vero e proprio procedimento giurisdizionale, portatore di solide garanzie per tutti i soggetti interessati [16].

Inoltre, la portata rivoluzionaria della sentenza Google Spain viene ridimensionata dal fatto che gli effetti della cancellazione sono limitati alle versioni nazionali di Google Search, ossia quelle accessibili mediante i domini nazionali (ad esempio google.es, google.it). Le stesse informazioni censurate continuano ad essere presenti nelle pagine S.E.R.P. della versione internazionale del motore di ricerca (google.com), anche se risultanti da ricerche effettuate da un utente europeo [17].

I più catastrofisti prospettano un futuro, in stile Orwell, in cui i mezzi di informazione contribuiscono alla perdita totale della memoria storica e in cui i  motori di ricerca agiscono come spietati censori al di sopra della legge.

Tralasciando le opinioni più fantasiose, occorre far presente che la problematica risente, anzitutto, di una regolamentazione obsoleta (la direttiva europea sulla privacy è del 1995!) che non riesce a risolvere le istanze che provengono dal nuovo contesto tecnologico [18].

Una soluzione potrebbe venire dallo sviluppo di tecnologie di ricerca di tipo semantico che permetterebbero di trattare i documenti con maggiore flessibilità, grazie alla possibilità di impostare il tipo di visibilità e di protezione dei dati personali, la validità temporale di un informazione e la sua visibilità in indici e sommari [19].

Bisognerebbe individuare soluzioni, tecniche e/o giuridiche, che consentano di far emergere un diritto alla contestualizzazione (più che alla cancellazione) del dato e che facciano salvo il generale interesse della collettività ad informarsi senza distorsioni e, al tempo stesso, preservino il diritto di ciascuno a vedere incasellati gli eventi della propria storia in una giusta dimensione.

A ben vedere, si tratta di una concezione non sconosciuta perché già sperimentata con i media tradizionali. Infatti esiste da tempo il divieto di riproporre, in maniera arbitraria, fatti ormai non attuali e privi di rilevanza pubblica o, quantomeno, si riconosce il diritto a che una notizia non più attuale non guadagni la prima pagina del giornale ma sia collocata, piuttosto, nelle pagine interne. Si tratterebbe, “semplicemente”, di traslare questo concetto sul web.

Biagio Francesco Rizzo

 

 

[1] Inserito tra i neologismi del Dizionario Treccani e definito come “fare una ricerca attraverso la rete telematica, servendosi del motore di ricerca Google” (http://www.treccani.it/vocabolario/googlare_%28Neologismi%29/).

[2] Giusella Finocchiaro, ll diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità, in Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, Roma Tre-Press 2015.

[3] Corte di Giustizia,13 maggio 2014, C-131-12.

[4] Articolo 7 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea: ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni; Articolo 8: ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente.

[5] Articolo 11 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea: ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.

[6] I Garanti europei, riuniti nel Working Party istituito dall’Art. 29 della direttiva 46/95/EU (il c.d. WP29), stabilirono l’assenza di responsabilità del motore di ricerca. Titolare del trattamento è, a parer loro, solo il content provider, ossia il soggetto che pubblica il contenuto. La sentenza ha sovvertito tale posizione.

[7] Articolo 12 della direttiva 95/46/CE: gli Stati membri garantiscono a qualsiasi persona interessata il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento […] a seconda dei casi, la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non è conforme alle disposizioni della presente Direttiva, in particolare a causa del carattere incompleto o inesatto dei dati; articolo 14: Gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto: a) almeno nei casi di cui all’articolo 7, lettere e) e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale.

[8] A meno che la loro conservazione non si imponga per motivi storici, statistici o scientifici.

[9] Salvatore Sica-Virgilio DAntonio, La procedura di de-indicizzazione, in Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, Roma Tre-Press 2015.

[10] Salvatore Sica-Virgilio DAntonio, La procedura di de-indicizzazione, in Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, Roma Tre-Press 2015.

[11] Alessandro Mantelero, Il futuro regolamento EU sui dati personali e la valenza ‘politica’del caso Google: ricordare e dimenticare nella digital economy, in Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, Roma Tre-Press 2015.

[12] https://support.google.com/legal/contact/lr_eudpa?product=websearch.

[13] Si segnala la presenza sul web di un sito‘HiddenfromGoogle (http://hiddenfromgoogle.afaqtariq.com/) che elenca tutte le notizie, con relativa risorsa, eliminate da Google a seguito della richiesta degli utenti. Ciò dimostra come il right to be forgotten possa trasformarsi in un boomerang ed esporre la notizia ad un effetto amplificativo non desiderabile dall’autore dell’istanza.

[14] Secondo il report “Transparency” su circa 255 mila richieste  (927 mila collegamenti esaminati) Google ha dato risposta negativa nel 60% dei casi (http://www.techeconomy.it/2015/05/14/google-transparency-report-i-numeri-diritto-alloblio/)

[15] Alessandro Mantelero, Il futuro regolamento EU sui dati personali ed il dilemma del caso Google: ricordare e dimenticare nella digital economy, in Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, Roma Tre-Press 2015.

[16] È pur vero che nemmeno le autorità garanti svolgono un ruolo strettamente giurisdizionale, ma quantomeno posseggono quelle caratteristiche di imparzialità e indipendenza non afferibili a un’azienda privata.

[17] A tal proposito è in atto una diatriba tra il colosso di Montain View e l’organismo europeo che riunisce tutti i garanti della privacy nazionali, i quali spingono per l’attuazione della procedura di cancellazione su tutti i domini (http://www.corrierecomunicazioni.it/it-world/34253_diritto-all-oblio-e-scontro-territoriale-tra-google-e-l-europa.htm).

[18] Il regolamento europeo che sostituirà la direttiva 95/46/CE è in fase di approvazione. Il testo conterrà norme sul diritto all’oblio e sulla responsabilità e ruoli dei search engine.

[19] Cosimo Comella, Indici, sommari, ricerche e aspetti tecnici della ‘de-indicizzazione’, in Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, Roma Tre-Press 2015.

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